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S.Giovanna d'Arco


Santa CATERINA DA SIENA
(1347 - 1380)

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NOTIZIE

SANTA CATERINA DA SIENA, nacque in un popolare rione della città toscana il dì 25 marzo 1347. Fù la ventitreesima figlia del tintore Jacopo Benincasa e di sua moglie Lapa Piagenti. Verso i dodici anni i genitori decisero di maritarla. Evidentemente, non avevano ben compreso la vocazione religiosa di Caterina, la quale in solitudine si dedicava ad una intensa vita spirituale, e che pur di non concedere la sua mano, giunse a tagliarsi completamente i capelli, coprendosi il capo con un velo e chiudendosi in casa. Vani furono i tentativi di farle cambiare idea. Un bel giorno, però, la considerazione dei genitori cambiò: il padre osservando una colomba posarsi sulla sua testa di Caterina, mentre era intenta a pregare, si convinse che il suo fervore era il frutto di una autentica chiamata divina.

A sedici anni, spinta da una visione di San Domenico, prese il velo del terz'ordine domenicano, pur continuando a restare nella propria casa. Semianalfabeta, imparò prodigiosamente a leggere e scrivere[1]. Intanto, prese anche ad occuparsi dei lebbrosi presso l'ospedale locale. A vent'anni, la notte di carnevale del 1367 le apparve Gesù accompagnato dalla Vergine e da una folla di santi, e le donò un anello, sposandola misticamente. Alla fine della visione, l'anello rimase visibile ma solo a lei e dal suo cangiare, Caterina poteva aver misura della bontà delle proprie azioni. La sua fama andava espandendosi non solo fra il popolo  ma anche fra i potenti ai quali lei scriveva sotto ispirazione divina. Le fu assegnato un ottimo direttore spirituale, Raimondo da Capua, che divenne poi suo biografo ed erede spirituale.

Nel 1375 mentre era assorta in preghiera in una chiesetta del Lungarno, che ora è detta di Santa Caterina, ricevette le stimmate che, come l'anello del matrimonio mistico, saranno visibili solo a lei. Nel 1376 Caterina si recò ad Avignone con le sue discepole, un altare portatile e tre confessori al seguito, per intercedere dal papa Urbano VI la pace con i Fiorentini. Dopo questa missione compiuta con successo, S.Caterina tornò alla sua casa ed attese alla compilazione del Libro che dettò in lingua volgare sotto l'ispirazione dello Spirito Santo. Il notaio senese Cristoforo di Gano Guidini, ci informa che erano in tre ad alternarsi nel lavoro dello scrivere, quando la Santa dettava: Barduccio Canigiani, Stefano Maconi e Neri di Landoccio. S.Caterina aveva pregato gli scrivani di non farsi sfuggire nulla e di scrivere attentamente quello che dettasse. S.Caterina dettava in uno stato di rapimento in cui suoi sensi sembravano come morti. Riferisce il Raymundi che durante il tempo dell'estasi, i suoi occhi non vedevano, i suoi orecchi non udivano, le sue narici non sentivano l'odore, né il gusto il sapore, ed il suo tatto non percepiva alcun oggetto. Trovandosi in questo stato poté però dettare il suo Libro: Il dialogo della Divina Provvidenza.

La missione di annunciatrice della centralità della sede romana rispetto ad Avignone, svolta dalla svedese S. Brigida morta nel 1373, fu continuata dall'amica senese S. Caterina. Questa di persona si presentò di nuovo in Avignone anche a Gregorio XI, esortandolo per l'incarico avutone da Gesù stesso, a tornare a Roma. Ma anche prima del suo viaggio questa messaggera di Cristo presso i grandi della terra, aveva scritto arditamente al Pontefice, perché lasciasse Avignone, e tornasse a Roma, che nella lettera 196 chiama «sede obbligatoria»; e nella lettera 347 parlando di Roma afferma con risolutezza: «Pensate che questa terra è il giardino di Cristo benedetto, ed è il principio della nostra fede». E torna a ripetere la stessa affermazione in altre due lettere (362-360). «La Chiesa di Roma è il principio della nostra fede. Qui è il corpo ed il principio della nostra fede». E Gregorio XI riportò la sede papale definitivamente da Avignone a Roma.

Nel 1378 fu convocata a Roma da Urbano VI, successore di Gregorio XI, perché lo aiutasse a ristabilire l'unità della Chiesa, contro i francesi che a Fondi avevano eletto l'antipapa Clemente VII. Scesa a Roma con discepoli e discepole, lo difese strenuamente, morendo sfinita dalle sofferenze. Era il 29 aprile del 1380 e Caterina aveva trentatré anni.

Ha lasciato circa quattrocento lettere scritte a tutti i potenti del suo tempo ed il "Dialogo della Divina Provvidenza" di cui abbiamo già parlato. La figura di Santa Caterina da Siena ha ispirato numerosi artisti che l'hanno ritratta il più delle volte con l'abito domenicano, la corona di spine, reggendo in mano un cuore o un libro, un giglio o il crocefisso o una chiesa.

Nel 1939 è stata proclamata da papa Pio XII patrona d'Italia.
Il giorno 1 ottobre 1999 papa Giovanni Paolo II l'ha proclamata compatrona d'Europa insieme a S.Brigida di Svezia e S.Teresa Benedetta della Croce.


*****

[1] Legenda B. Raymundi I, II - Lett. 272, ed. Tommaseo



Dialogo della Divina Provvidenza - Capitolo 18

_
Sappi che nessuno può uscire dalle mie mani, poiché Io sono colui che sono, mentre voi, per voi medesimi non siete se non quello che siete stati fatti da me.
Io sono creatore di tutte le cose, che partecipano dell'essere, eccettuato il peccato, il quale effettivamente non è; perciò non è fatto da me;  e, non essendo in me, non è degno di essere amato.
Mi reca offesa la creatura, quando ama quello che non deve amare, cioè il peccato, e odia me, che è tenuta ed obbligata ad amare, essendo io sommamente buono, e avendole dato l'essere con tanto fuoco di amore.
Ma da me gli uomini non possono uscire: o ci stanno coi legami della giustizia per le loro colpe; oppure ci stanno con quelli della misericordia.
Apri dunque l'occhio dell'intelletto, mira la mia mano, e vedrai che è verità quanto ti ho detto.
Allora ella, alzando l'occhio per obbedire al sommo Padre, vedeva nel suo pugno rinchiuso tutto il mondo; e Dio le diceva: Figlia mia, vedi e sappi che nessuno può essermi tolto: tutti ci devono stare, o per giustizia o per misericordia, perché sono miei, sono creati da me, che li amo ineffabilmente; e perciò, nonostante le loro iniquità, io farò loro misericordia per mezzo dei miei servi, e adempirò la domanda che mi hai rivolta con tanto amore e dolore.


Dialogo della Divina Provvidenza - Capitolo 102

_Ora sta attenta, carissima figliuola; ed affinché tu sia meglio illuminata su quello che dimandasti, ti ho parlato di quel lume comune che tutti dovete avere, in qualunque stato siate: dico questo per coloro che si trovano nella carità comune.
Ti ho anche parlato di coloro, che sono nel lume perfetto, e che io ti distinsi in due gruppi: quelli che si sono levati dal mondo e studiano di mortificare il loro corpo; e quelli che uccidono in tutto la propria volontà.
Questi sono perfetti, che si nutrono alla mensa del santo desiderio. Ora favellerò in particolare a te; e parlando a te, parlerò agli altri, e soddisfarò al tuo desiderio.  Io voglio che tu faccia tre cose particolari, acciocché l'ignoranza non ti impedisca la perfezione alla quale ti chiamo, e il demonio non nutra dentro l'anima tua la radice della presunzione, sotto il mantello della carità del prossimo. Da questo tu cadresti nei falsi giudizi, che t'ho vietati, parendoti di giudicare diritto, mentre giudicheresti a torto, andando dietro al tuo vedere. Spesse volte il demonio ti farebbe vedere molte verità per condurti alla bugia.
Egli farebbe questo per farti giudice della mente e della intenzione delle creature, che sono dotate di ragione; cosa che io solo ho da giudicare.
Una di quelle tre cose, che per mio volere devi avere e conservare dentro di te, è che tu non dia alcun giudizio senza questa norma: se io espressamente, non una volta né due, ma più, non manifesto alla tua mente il difetto del tuo prossimo, tu non lo devi mai dire in particolare a colui in cui ti paresse di vedere il difetto,  ma devi correggere in generale i vizi di chi ti venisse a visitare;  devi piantare la virtù caritativamente, con benignità, e nella benignità usare l'asprezza, quando vedi che bisogna.
E se ti paresse che io ti manifestassi spesso i difetti altrui, non lo dire in particolare, se tu non vedi che sia espressa rivelazione, ma cerca di attenerti alla parte più sicura, affinché tu fugga l'inganno e la malizia del demonio.
Altrimenti egli ti piglierebbe con questo amo del desiderio, facendoti spesso giudicare sul prossimo quello che non sarebbe vero, e così lo scandalizzeresti.
Nella tua bocca dunque stia il silenzio, o un santo ragionare della virtù, con disprezzo del vizio.
Il vizio, che ti paresse conoscere in altri, attribuiscilo insieme a loro e a te, usando sempre vera umiltà.
E se davvero quel vizio sarà in quella data persona, ella si correggerà meglio, vedendosi compresa così dolcemente, e sarà costretta da quella piacevole riprensione a correggersi, e dirà a te quello che tu volevi dire a lei.
Tu te ne starai sicura, e avrai tagliata la via al demonio, che non ti potrà ingannare né impedire la perfezione della tua anima.
E voglio che tu sappia che non devi fidarti del tuo vedere, ma lo devi porre dietro le spalle, e non ceder gli; devi fermarti solo nel vedere e nel conoscere te stessa, ed in te conoscere la mia larghezza e bontà. Così fanno quelli che sono giunti all'ultimo stato, i quali tornano sempre alla valle del conoscimento di se stessi, senza che lo impedisca l'altezza e l'unione che hanno fatto con me. Questa è una delle tre cose, che io ti dissi di fare, affinché tu mi serva in verità.


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